venerdì 8 febbraio 2013

perché tornerò per votare

La scuola di Sarcelles è proprio bella. Ogni aula dispone di un computer connesso ad internet e di un proiettore (oltre che dei soliti stereo e televisore), l'appello si fa elettronicamente, i banchi e le sedie sono nuovi. La biblioteca è sempre aperta, alla mensa c'è una lunga coda che viene smaltita rapidamente. Questa settimana era dedicata alla cucina internazionale, ogni giorno un menu da un paese diverso. Ieri toccava ai tedeschi e le cuoche della mensa, col cappello bavarese, distribuivano i piatti al suon di Guten Tag e Guten Appetit.
Della scuola fatiscente che ho frequentato io in fin dei conto solo fino a cinque anni fa, mi ricordo di registri che rimanevano sulla cattedra ed erano spesso oggetto di scherzi, di macchinette scassate, di film visti in venticinque davanti a uno schermo di 13 pollici, di palestre inesistenti, di sedie rotte e traballanti. (Certo, ricordo anche di muri ridipinti, di riunioni  in corridoio approfittando del ritardo del prof, di ore di sport passate a discutere di letteratura e di politica, ma questa è un'altra storia.)
A Sarcelles, dopo aver oltrepassato il cancello d'ingresso, ci si ritrova di fronte ad un grande schermo su cui vengono proiettati gli avvisi del Preside e i nomi dei docenti assenti. Gli studenti aspettano massimo cinque minuti i loro professori, e se il prof non arriva scendono subito in segreteria per comunicare l'assenza. Nessuno scampo, le regole valgono per tutti. Mi è capitato anche di assistere a delle lamentele da parte degli alunni contro un docente che non aveva comunicato la sua assenza la sera prima, costringendoli ad andare a scuola inutilmente alle 8. Il mio stupore è aumentato ancora di più quando il docente in questione, senza sentirsi minimamente intaccato nella sua autorevolezza, si è addirittura scusato dicendo loro che aveva mandato una comunicazione per e-mail a due alunni della classe. Rimproverare un docente per un ritardo o per una assenza non comunicata tempestivamente non mi sarebbe mai venuto in mente. Eppure anche io non sono mai stata un'alunna troppo educata, piuttosto incline ad una fiera ribellione pronta a rovesciarsi in insolenza.
Quanto è affascinante per me questo vigile rispetto per lo spazio pubblico, questo contratto sociale che docenti e alunni di Sarcelles hanno firmato. Credo che questo sia possibile perché gli studenti di Sarcelles, quando entrano a scuola, diventano ingranaggio e benzina di una realtà che funziona, in cui ci si può permettere di protestare per qualche minuto di ritardo perché ci si sente parte in causa, componente attiva ed indispensabile del processo. Entrando nel liceo gli alunni si sentono più confortevoli che a casa loro, a scuola hanno più spazio, un computer a testa, tanti libri a loro disposizione, un riscaldamento che funziona, un piatto pronto e ogni giorno diverso. Mi sembra anche che i docenti siano mediamente più motivati, forse perché meglio valorizzati e ricompensati. Quanto è differente dalla maniera in cui io ho vissuto la scuola.
Probabilmente gli studenti di Sarcelles lasciata la scuola pubblica avranno un'idea diversa dello Stato. Forse per loro lo Stato sarà davvero come la loro classe di liceo, una stanza luminosa ed efficiente dove imparare insieme, in cui ognuno ricopre un ruolo e il confronto non si risolve necessariamente in conflitto.
Per questo trovo assurda e ingiusta la situazione della scuola in Italia. E più cresco e più viaggio, più mi diventa insopportabile e triste sentire come la scuola venga bistrattata e messa al margine del dibattito politico italiano. Io sono stata fortunata: nonostante la decadenza dell'edificio scolastico e di alcune deludenti esperienze didattiche, ho avuto la possibilità di formarmi. Disponevo di una biblioteca casalinga molto fornita, ho avuto la fortuna di avere dei genitori interessati di cinema e di musica e che non dimenticavano mai di comprare un buon quotidiano, e i due o tre docenti appassionati e preparati che ho incontrato sono bastati a dare un'unità ed una personalità al quadro. Ma cosa succede agli studenti delle scuole italiane di periferia equivalenti a quella di Sarcelles? Mi riesce difficile immaginare delle cuoche che vivono il loro lavoro con gioia al punto di indossare strani cappelli e sbizzarrirsi con piatti sempre nuovi, degli studenti che preferiscono restare in biblioteca piuttosto che uscire da scuola, dei docenti che si precipitano in classe temendo il ritardo, che si arrovellano cercando il video più adatto su youtube, organizzando le uscite culturali più appropriate e i viaggi di scambio migliori. Che idea avranno invece gli studenti del quartiere San Paolo di Bari della loro scuola? E, di conseguenza, quale idea dello spazio pubblico introietteranno?
Secondo Andrea Camilleri gli Italiani non hanno memoria, basti pensare che sono stati capaci di eleggere un deputato fascista soltanto un anno e otto mesi dopo Piazzale Loreto. Hanno però, sempre secondo lo scrittore, il pregio di essere testardi e di sapersela cavare nei momenti di crisi. Io non riesco a dimenticarmi i corridoi bui della mia scuola, i piccioni che svolazzavano nell'aula dell'università, le biblioteche inesistenti. Proprio non ce la faccio, e la mia caparbietà vacilla. Per la prima volta quest'anno ho sentito con nitidezza che il mio paese è nella merda, fino al collo. Perché è ingiusto che in Italia i miei amici più brillanti siano disorientati e spaventati, e che in Francia invece la gran parte dei miei coetanei abbia un posto fisso e sogni di prendersi un anno sabbatico o di congedo formativo - rigorosamente pagato - per fare il giro del mondo per poi ritornare ad insegnare. Quando racconto della situazione della scuola in Italia, degli incubi delle graduatorie a scorrimento e dei concorsi fantasma, i miei colleghi mi domandano : "E che pensi di fare allora?" Io rispondo che forse ora che l'Italia eleggerà il nuovo governo qualcosa cambierà. Che qualcosa deve per forza cambiare. Perché appunto, come dice Camilleri, noi Italiani diamo il meglio nei momenti di crisi.
Gentile signor Camilleri, io voglio crederle. Per questo ho deciso di ritornare a votare per le elezioni politiche. Il biglietto mi è costato parecchio, ma molto di più mi è costato chiedere un giorno di permesso a scuola. Chi se li sentirà poi i miei alunni quando dirò loro che perderemo una giornata di lavoro insieme?
 Ho deciso di scommettere sul futuro del mio paese ancora una volta. Prenderò esempio dai miei studenti e cercherò di sentirmi anche io il granello di sabbia che fa la differenza, l'ingranaggio indispensabile di un sistema che mi ascolta. Vediamo se funziona.

2 commenti: