mercoledì 7 marzo 2012

Il tempo della rilettura

Ho letto La Fin de Chéri  di Colette per la prima volta nell'autunno del 2007. L'ho riletto in francese la scorsa primavera a Bologna. Poi a Strasburgo ad ottobre. Venerdì in biblioteca e - infine - ieri mattina nella mia camera. Ho anche visto il film che ne ha tratto Stephen Frears un paio di volte: al cinema e poi su Sky.
La rilettura è per me una pratica abbastanza recente. Di solito la mia lettura è vorace, rapida, tutta intenta a seguire la storia, le pagine scorrono veloci perché c'è sempre un libro da leggere dopo che mi aspetta e che mi mette fretta. E soprattutto c'è la fine da scoprire, allora faccio il conto alla rovescia delle pagine che mi mancano e do una sbirciatina all'ultima pagina, giusto per far capire all'autore che sono io ad avere in pugno la situazione, mica mi frega, mica mi lascia sola lì nel bel mezzo delle pagine senza che io possa sapere come va a finire.
Sì, il mio tempo di lettura è una corsa contro il il tempo della scrittura.
E poi succede che devo rileggere La Fin de Chéri e mi innamoro della rilettura.
Il mio professore di Letteratura Francese diceva che per dire di aver letto un libro, dobbiamo leggerlo almeno tre volte. Mah, mi ero detta io, non penso avrò mai il coraggio di rileggere I fratelli Karamazov o Guerra e Pace. Però, pensavo mentre lo ascoltavo, effettivamente mio fratello ha letto due volte  Il signore degli anelli a undici anni... forse allora non è del tutto assurdo e insensato ciò che a dodici anni mi aveva lasciata basita.
Così, ho riletto Polissena del Porcello di Bianca Pitzorno, libro storico della mia infanzia. Pensavo di essermi messa in pace la coscienza, avevo dimostrato che anche io se voglio sono capace di interrompere la guerra al tempo della scrittura. In seguito e durante questi anni di università mi è capitato di rileggere molti libri più volte, per un esame o per un saggio da scrivere o per una recensione da fare.
Questa rilettura però è stata tutta un'altra storia.
Quando ho letto per la prima volta La Fin de Chéri mi sono detta che era una storia d'amore un po' strana, con pochi personaggi, interessante. Di certo non un capolavoro. La seconda volta ho chiuso il libro pensando che era una storia molto innovativa e da consigliare. La terza che lo stile era molto ricercato e non mi venissero a dire che Colette era la Fabio Volo d'altri tempi. Alla quarta lettura ho pensato che era geniale, con Freud di mezzo, le follie degli anni Venti, le donne che diventano affariste, le tragedie di Racine ribaltate, i dialoghi perfetti. Alla quinta ho scoperto una miriade di personaggi che prima erano rimasti silenziosi, mi sono accorta che ci sono tante scene collettive di pranzi, feste e cene che ad una lettura veloce scompaiono. Che dalla descrizione dei pasti si potrebbe trarre un ricettario raffinato e molto goloso. Ho scoperto che il protagonista vaga per la città, tra incontri e momenti di epifania da far impallidire Joyce e tutti i suoi adulatori.
Allora ho capito perché molti dei miei amici intellettuali quando sanno che faccio la tesi su Chéri storcono il naso. Per arrivare alla bellezza di un testo, bisogna liberarsi della polvere dei luoghi comuni che sul testo si sono accumulati ("ma Colette chi? quella che faceva i romanzetti su Claudine che va a scuola?" "Quella che nei suoi libri parla di sesso e di relazioni lesbiche?" "Ah sì, Chéri.. quel libro sulla storia d'amore con la vecchia" e via dicendo). Ma non basta avere uno sguardo fresco sul testo, alle volte serve anche una guida. Serve discutere sul testo, serve leggerlo insieme ad altri. Ecco svelato il segreto di queste meravigliose riletture: sono state riletture condivise e partecipate. La prima volta l'ho letto in solitudine, assorbita da chissà quali altri pensieri. L'ho chiuso e l'ho riposto  nella mia libreria, non ricordo di averne parlato con qualcuno. La seconda volta l'ho riletto perché mi era capitato di parlarne a pranzo con amici e mi era ritornata la curiosità. La terza perché ho seguito un corso su Colette e il mio geniale professore di Letteratura Comparata l'ha illuminato e arricchito. L'ho letto con gli altri  miei compagni del corso e ne abbiamo parlato in mensa o la sera passeggiando sul lungofiume. E ora lo rileggo in compagnia di un lettore immaginario, con l'intento di sedurlo come io a mia volta sono stata sedotta dalle letture di altri.
Insomma, se siete arrivati alla fine di questo papiro vuol dire che è arrivato il momento di andare in libreria o in biblioteca, di cercare lo scaffale Adelphi e di fare vostro questo piccolo tesoro scritto nel 1926.
E in me si fa più ferma la convinzione che condividere storie, letture, pellicole viste, riletture è la migliore forma di resistenza e il migliore metodo di apprendimento.

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